Il lato oscuro dell’attenzione al cibo
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Ormai si parla continuamente di obesità, non solo perché rappresenta uno dei principali problemi di salute a livello mondiale. Le persone in sovrappeso o obese, che superano abbondantemente il peso considerato “normale” dalle tabelle, non passano inosservate e spesso si portano dietro lo stigma sociale associato alla loro condizione: nessuna pietà nei loro confronti, guardate con riprovazione, colpevolizzate perché incapaci di controllare l’alimentazione e di avere cura di sé. Il disprezzo e la critica nei confronti dei corpi “grassi” hanno effetti dannosi sia a livello individuale, in termini di autostima, che a livello sociale in termini di isolamento e vergogna. E se a essere in sovrappeso è una donna, spesso viene penalizzata anche sul posto di lavoro: le donne “cicciottelle” guadagnano il 10% in meno delle loro colleghe più magre, mentre c’è poca differenza nei salari tra uomini obesi e uomini che mantengono il peso “ideale”. In ogni caso, che interessi le donne oppure gli uomini, obesità fa rima con povertà: chi è “costretto” ad alimentarsi con cibi che costano meno introduce nel proprio corpo tante calorie e generalmente “vuote”, cioè nutrizionalmente insufficienti, perché spesso si tratta di alimenti ultra processati, venduti a prezzi bassi, che contengono pochi nutrienti.
Sul fronte opposto dell’obesità dilaga l’ortoressia, un disturbo del comportamento alimentare e dell’immagine corporea di cui invece si parla molto meno. Si tratta di una forma di attenzione maniacale, ossessiva, abnorme, delle regole alimentari e della scelta dei cibi sani, una sorta di integralismo alimentare necessario a raggiungere uno stato di salute ritenuto perfetto. È un disturbo subdolo, difficile da diagnosticare, che sembra prevalere tra gli uomini (11,3% rispetto al 3,9%), e che spesso è legato alla vigoressia, ovvero la continua e ossessiva preoccupazione di costruire massa muscolare, senza però mai raggiungere un livello ottimale, poiché la realtà soggettiva, ovvero la percezione di sé, si allontana dalla realtà oggettiva senza mai incontrarsi.
Per le persone affette da ortoressia, come nel caso degli altri disturbi correlati all’alimentazione, il cibo diventa uno strumento per mantenere il controllo sul proprio corpo. Un contributo in questo senso viene fornito dai filtri proposti dai vari algoritmi social dove vengono suggerite mode culturali pericolose, focalizzate in modo ossessivo su un aspetto fisico che dev’essere mantenuto “perfetto” da uno stile alimentare considerato, a torto o a ragione, ipersalutare contribuendo però, in tal modo, alla creazione di un malessere che tende a caratterizzarsi come identitario. Il confine tra una sana alimentazione e un comportamento ortoressico è sottile: mangiare meglio, senza eccedere nel consumo di zuccheri, di cibi grassi, di carboidrati, evitando i cibi troppo processati è indubbiamente salutare per tutte le persone, ma diventa patologico quando supera la dimensione della scelta consapevole e diventa ossessione.
Se l’ortoressia ha in comune con l’obesità la tendenza all’isolamento personale – non per la vergogna ma per una sorta di disgusto nei confronti di chi non ha la stessa attenzione/mania per il cibo sano, diversa è la diffusione dei due disturbi tra le fasce sociali della popolazione. La maggiore disponibilità economica e la possibilità di accedere a maggiori strumenti di conoscenza e di informazione sono infatti tra i fattori sociali e culturali che possono rappresentare terreno fertile per varcare quel sottile confine tra il diritto per tutti e tutte di acquistare un cibo buono, pulito e giusto e il privilegio di destinare somme elevate di denaro per comprare cibo “di qualità”. L’ambiente alimentare, definito come l’ambiente fisico (accessibilità al cibo), economico (costo), politico (regole), socio-culturale (stereotipi, tradizioni), influenza i comportamenti alimentari impattando in modo sostanziale sulle scelte di quello che mettiamo sulla tavola. Scelte che, a loro volta, diventano manifestazione di identità.
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