Quante bufale ci mangiamo?
Non stiamo parlando delle famose mozzarelle, ma delle false notizie sull’alimentazione che popolano siti web, social e canali pubblicitari. L’alimentazione è un argomento che accomuna tutti, suscita curiosità, attenzione e desiderio di saperne di più. È un tema nevralgico, all’ordine del giorno sulla maggior parte dei media, dove le informazioni abbondano e spesso fanno a pugni le une con le altre. Molti degli articoli che leggiamo e che condividiamo allegramente sui social mancano dei presupposti scientifici che dovrebbero essere alla base della pubblicazione di un’informazione e della verifica delle notizie in essa contenute. Allo stesso modo, la rete pullula di figure a vario titolo esperte nella nutrizione che promettono dimagrimenti lampo, parlano di nuove scoperte scientifiche o di teorie scovate non si sa dove, e offrono soluzioni a ogni problema di natura alimentare. Tutto ciò rischia di banalizzare il tema dell’alimentazione, così importante, e potremmo dire vitale, per la prevenzione e la cura del nostro corpo, rischiando di spingere i lettori e le lettrici più attenti/e a rifiutare qualsiasi informazione ritenendola non sufficientemente “scientifica” o, al contrario, chi si approccia ai social in maniera più superficiale ad accettare qualsiasi “bufala” come verità.
D’altronde, ciò che governa le ricerche online è la legge dell’algoritmo, non certo quella della qualità delle informazioni: basta un ottimo lavoro sulla SEO (Search Engine Optimization) da parte di chiunque – libero/a professionista nel campo dell’alimentazione che cerca di mettersi in luce, o venditori di prodotti “miracolosi” – per balzare in testa ai risultati selezionati da Google per una determinata ricerca, senza alcun controllo sulla veridicità o sulla parzialità dei contenuti.
Lo scopo delle piattaforme social è soprattutto quello di aumentare il tempo che gli/le utenti passano su di esse, facendo in modo che siano le persone stesse, attraverso i loro click, il vero “prodotto” da vendere: sofisticati algoritmi suggeriscono contenuti simili o affini a quelli già visti amplificando gli interessi e cavalcando gli stati d’animo suscitati da ciò che si sta visualizzando.
In pratica, è l’algoritmo che ci suggerisce quale argomento di alimentazione dobbiamo seguire – ovviamente senza mai approfondire troppo -, quale vorremmo leggere e quale invece mettere in fondo alla lista dei “preferiti”. E ciò finisce per riconfermare quegli stereotipi di genere che vogliono, ad esempio, che sia soprattutto il pubblico femminile a essere ossessionato dalle diete – dimagranti, drenanti, anticellulite e chi più ne ha più ne metta – e a cercare quindi in rete soluzioni facili e miracolose nell’ottica, più o meno dichiarata, di raggiungere quell’ideale di bellezza introiettato attraverso lo sguardo maschile.
Quello che spesso manca è un punto di vista oggettivo e non sponsorizzato da parte di enti più accreditati in tema di alimentazione, siti informativi che affrontino le problematiche legate alla nutrizione in modo serio e scientifico che, sebbene presenti in rete, non sono certo quelli che l’algoritmo posiziona in testa alle ricerche degli/delle utenti.
L’Osservatorio InSIdE, promosso dalla sede italiana dell’agenzia internazionale Pulse Advertising in collaborazione con Eumetra e l’Università di Pavia, che dal 2021 approfondisce la percezione dell’influencer marketing in Italia, ha rivelato che tra gli influencer più seguiti ci sono proprio quelli che si occupano di cibo e che gli utenti attivi nella ricerca di contenuti food sono donne, in particolare con figli teenagers. Ed è sempre un pubblico a maggioranza femminile, in particolare giovanissime della generazione Z e donne over 55, a orientare i propri consumi alimentari in base ai contenuti pubblicati dagli influencer.
Un esempio di informazione fuorviante, quando non proprio di disinformazione, molto in voga oggi in tema di alimentazione riguarda le proteine, vera e propria ossessione del momento. Pubblicità, spot televisivi, articoli in rete, interi scaffali della grande distribuzione dedicati ad alimenti ad “alto contenuto proteico”. Le proteine, assieme agli altri micronutrienti, sono indubbiamente fondamentali per il benessere dell’organismo e devono essere introdotte principalmente attraverso ciò che si mangia. Nella dieta dei Paesi sviluppati non sussiste certo il rischio di non assumere il giusto quantitativo quotidiano di proteine, bensì il rischio opposto, cioè di esagerare. Questi alimenti che l’industria del settore sta mettendo sul mercato, allora, a chi servono davvero? Quando si parla di nutrizione è facile partire da assunti di base corretti (le proteine sono fondamentali) per poi finire con conclusioni prive di fondamento scientifico. Chi incorpora concetti validi in prodotti alimentari che non sono salutari è l’industria, il cui unico scopo è il profitto e non lo stato di salute dei consumatori, i quali più sono distratti e impreparati in materia, più sono funzionali al sistema.
Per smascherare le più comuni bufale alimentari è sceso in campo anche l’Istituto Superiore di Sanità che ha dedicato al tema un’apposita sezione del portale ISSalute con l’obiettivo di fornire a chi sempre più spesso consulta il web per motivi di salute un punto di riferimento dove trovare informazioni autorevoli Non è il caso di screditare o di diffidare di ogni articolo che leggiamo, ma occorre imparare ad analizzare ciò che si legge, e quando se ne è terminata la lettura fermarsi a pensare che ognun* di noi è divers*, non solo biologicamente, ma per abitudini, scelte di vita, livello culturale e relazioni sociali. Il temine dieta non è sinonimo di dimagrimento e nemmeno un menu appeso in bacheca, ma significa stile di vita, e come per un abito ognuno ha le sue misure. Uno stile di vita sano, basato sulla dieta mediterranea, rimane comunque la strategia migliore per la prevenzione e il mantenimento di un ottimale stato di salute, individuale e collettivo.
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